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martedì, giugno 03, 2008

Il fattore culturale nell'insegnamento della lingua




Il fattore culturale nell'insegnamento della lingua


 
Paola Celentin e Graziano Serragiotto[1]

Questo intervento è diviso in due parti: nella prima si definiscono le caratteristiche principali che, a livello culturale, possono influenzare l'insegnamento di una lingua; nella seconda parte ci sono degli esempi specifici per la lingua italiana.

1. L’interculturalità nell’insegnamento della lingua

1.1. Il binomio lingua-cultura

Se parliamo di insegnamento di una lingua non ha senso parlare di qualcosa di astratto: non significa imparare solo regole, costruzioni e quindi non è solo lo strumento linguistico che deve interessare colui che apprende. Una persona che possiede uno strumento linguistico deve anche poterlo contestualizzare e quindi considerare la cultura dove tale strumento è usato. Questo perché la lingua e la cultura si sono sempre influenzate vicendevolmente. Quando pensiamo ad una lingua, pensiamo ad uno strumento usato da un popolo per rappresentare se stesso, quindi dietro c'è una cultura che fa da supporto a tale strumento.
Si può anche dire che non esiste o non si parla di cultura senza considerare lo strumento linguistico. Una cultura viene ad essere descritta attraverso di esso. Possiamo affermare che esiste un binomio lingua-cultura secondo il quale ci sono delle forti relazioni che regolano questi due elementi che si influenzano vicendevolmente, legati in modo inscindibile proprio per la natura del rapporto stesso.

1.2. L'influenza della cultura sulla lingua e viceversa

Alcuni antropologi e sociologi, quando si parla dell'apprendimento di una seconda lingua, parlano dell'effetto di una seconda cultura su tale apprendimento. La lingua non è qualcosa di artificiale e quindi non ha senso parlare di isolamento della lingua dalla cultura. Un'ovvia influenza la si può vedere nel vocabolario: come afferma Boas, le parole di una lingua sono adattate all'ambiente dove vengono usate. Basti pensare alle numerose e varie parole per esprimere un certo fenomeno in un Paese: per esempio un evento atmosferico come la pioggia in Inghilterra o il colore bianco della neve presso gli Eschimesi. In questo modo si capisce come la cultura abbia influenzato la lingua: un determinato fenomeno culturale ha come risposta una varietà linguistica per descriverlo. D'altra parte lo strumento linguistico influenza la cultura: una certa varietà di parole serve a descrivere un determinato fenomeno.
Questo è per far capire come chi si accinge ad imparare una lingua diversa dalla propria debba imparare anche una cultura diversa, cioè ci si deve rendere conto di una certa dipendenza dei due fattori e quindi arrivare ad includere la cultura nello studio di una lingua.

1.3. Caratteristiche dell'acquisizione di una cultura

Il processo di acquisizione di una seconda cultura è stato studiato da vari punti di vista. Da parte dell'apprendente avviene una sorta di acculturazione, cioè un graduale adattamento ad un target culturale senza però abbandonare o rinunciare all'identità della lingua nativa. Il fattore più importante che influenza l'acculturazione è la "diversità" o distanza sociale tra due culture (W.R. Acton and Judith Walker de Felix, Acculturation and mind, in Valdes J.M., Culture Bound, C.U.P., Cambridge, 1986).
L'acculturazione può comprendere diversi stadi a seconda delle esigenze dell'apprendente: si può passare da un livello minimo di conoscenza di base per scopi necessari (livello soglia), fino ad un livello di parlante nativo dove la pronuncia e i gesti sono molto simili se non uguali a quelli dei nativi.
E' importante sottolineare che a seconda dell'impatto della lingua/cultura sugli studenti si hanno esiti diversi nell'apprendimento, in base allo shock culturale subito a causa della diversità della cultura proposta dalla propria.
Se gli studenti che imparano una seconda lingua hanno un orientamento positivo verso la stessa o se il desiderio di essere parte del gruppo che parla la lingua è molto alto, tale affettività può servire come motivazione, addirittura, a seconda della professione (interesse strumentale) possiamo avere diversi atteggiamenti (si pensi ai giorni nostri come il francese venga discriminato perché ha perso quella valenza o importanza che aveva nel mondo del lavoro).
L'acquisizione di una seconda lingua implica l'acquisizione di una seconda cultura e questo per l'alto contenuto sociale della lingua. Per interpretare meglio il fenomeno è bene soffermarsi sull'uso e il significato di questi tre termini: acculturazione, shock culturale e distanza sociale.

1.3.1. Acculturazione

L'acculturazione è il processo con cui una persona si adatta a una nuova cultura. Possiamo affermare che il modo di pensare di una persona, di agire e di comunicare differiscono e cambiano da una cultura all'altra. Per tenere conto di questi fattori è necessario sottolineare il contesto dove una lingua viene imparata, cioè se è una lingua seconda o una lingua straniera. Si vengono a creare due presupposti:
a) imparare una lingua seconda in una cultura nativa dove la lingua è sempre imparata in un contesto per capire le persone di un'altra cultura;
b) imparare una lingua straniera in un contesto non naturale per vari usi specifici (lavoro, turismo o altri interessi).

1.3.2. Shock Culturale

Lo shock culturale si riferisce a dei fenomeni che vanno da una semplice irritabilità ad uno stato psicologico di panico o crisi. Tale shock è più evidente nel contesto di una cultura nativa (lingua seconda), mentre è minimo in un contesto non naturale (lingua straniera).
Lo shock culturale è associato a sentimenti di estraniamento, rabbia ostilità, indecisione, frustrazione, tristezza per la lontananza da casa da parte dello studente. Questo è dovuto alle differenze rispetto alla propria cultura che spesso non vengono capite. Tali differenze possono portare a repressione, regressione isolamento e rifiuto. si può vedere come Douglas Brown (Brown D. H., Learning a second culture, in Valdes J.M., Culture Bound, C.U.P., Cambridge, 1986 ) presenti questo shock culturale come quattro successivi stadi di acculturazione.
Il primo stadio vede l'eccitazione e l'euforia da parte della persona per le novità che ha trovato. Nel secondo stadio appare questo shock culturale perché l'individuo sente l'intrusione di differenze più culturali. Nel terzo stadio vediamo che alcuni problemi di acculturazione sono risolti mentre altri persistono: la persona comincia ad accettare le differenze nel pensare e nel sentire. Il quarto stadio comporta o un'assimilazione o un adattamento, un'accettazione della nuova cultura e una confidenza in sé, nella "nuova" persona che si è sviluppata in questa cultura.
Gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale nel passaggio da uno stadio all'altro: non devono forzare il passaggio, ma seguire cercando di capire le sensazioni di frustrazione e di rabbia in modo da arrivare ad una profonda e personale forma di apprendimento.

1.3.3. Distanza sociale

La distanza sociale si riferisce alla prossimità cognitiva e affettiva di due culture che vengono a contatto in un individuo. Per distanza si intende le differenze che esistono tra le due culture.
John Schuman (1976a) dice nella sua ricerca che più grande è la distanza sociale tra due culture più forte è la difficoltà che l'apprendente incontrerà nell'imparare una seconda lingua e viceversa, minore è la distanza sociale, migliore sarà la situazione di apprendimento. Tale distanza è difficile da misurare obiettivamente, si può arrivare ad una percezione, comunque, l'importante è vedere la relazione tra distanza sociale e l'acquisizione di una seconda lingua.

1.4. La cultura nell'insegnamento linguistico

Alla base dell'analisi dell'interculturalità vi è la ricognizione di come le due culture (quella del parlante e quella dell'apprendente) siano simili e di come differiscano. Una simile analisi apre delle possibilità per l'insegnante nell'approccio dell'insegnamento di una seconda lingua. Bisogna stare attenti a non cadere nell'eccesso con gli stereotipi, ma un'informazione generale può essere molto utile per l'approccio, venendo a contatto con fattori culturali: in questo modo l'esperienza dell'insegnare e l'insegnamento diventano entrambi più piacevoli ed efficaci.
Per cultura si intende i modi che un popolo usa per esprimere se stesso, i quali assumono forme diverse a seconda dei contesti e con significati diversi a seconda del messaggio che si vuole trasmettere.
E' necessario che ci sia una corretta informazione sui costumi e sugli usi di un popolo, analizzando la distribuzione del fenomeno, cercando di non dare degli stereotipi che potrebbero falsare l'interpretazione, ma fornendo piuttosto dei "sociotipi" ( cfr. Balboni P. E., Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione interculturale, Venezia, ed. Marsilio, 1999), e cioè delle caratterizzazioni che derivano da una generalizzazione razionale di stereotipi empiricamente verificabili.
Per fare questo si devono tenere in debito conto anche gli aspetti non verbali di una lingua, perché anch'essi fanno parte della cultura e possono essere diversi a seconda delle popolazioni: il linguaggio del corpo, la lingua oggetto, la lingua dell'ambiente.
Per linguaggio del corpo si intendono il movimento, la postura, la gestualità, l'espressione del viso, lo sguardo, il toccare e la distanza.
Per lingua oggetto si intendono i segni, i disegni, gli artefatti, il vestiario e l'adornamento personale.
La lingua dell'ambiente è quella fatta di colori, luci, architettura, spazio, direzioni ed elementi naturali che parlano all'uomo della sua natura.
Ogni parlante nativo assimila delle esperienze sociali individuali caratteristiche della propria cultura. Ogni società accumula delle regole seconde le quali alcune considerazioni concrete sono interpretate astrattamente e sono valide tra coloro che comunicano attraverso l'uso comune della stessa lingua.
Tra le società con strutture socioeconomiche molto diverse, le differenze interculturali giocano un ruolo significativo quando i membri di una cultura imparano la lingua dell'altra.
L'approccio in classe, quindi, è importante: una volta stabiliti quali valori e quali comportamenti devono essere insegnati, si deve vedere come ciò debba essere fatto. Una volta che si è capito il legame tra pensiero, cultura e lingua, assieme alla conoscenza delle differenze culturali, distanze, somiglianze e come queste influenzino l'apprendimento di una lingua, l'insegnante ha inserito la cultura nel curriculum.
Per analizzare queste differenze culturali si possono usare vari metodi: la comparazione, la creazione di situazioni o di simulazioni, il chiarimento dei malintesi attraverso i giornali, i media o l'isola classe. Si tratta quindi di fare più che di parlare di valori culturali, fare secondo schemi diversi dalla propria cultura.
L'insegnante non deve tener conto solo della cultura che deve essere appresa, ma anche della cultura del nativo, le difficoltà che lui potrebbe avere, le problematiche che si trova ad affrontare, in modo che l'insegnamento diventi proficuo attraverso l'aggancio alla vita normale. Quello che è importante è che ci sia un contatto diretto fra l'ambiente e l'insegnamento.
La persona che apprende dovrebbe avere il seguente atteggiamento (cfr. Balboni, 1999):

• conoscere gli altri, quindi non basarsi su stereotipi, ma entrare in diretto contatto con la nuova cultura;
• tollerare e rispettare le differenze, cioè rendersi conto che tali differenze possono esistere, senza rinunciare al proprio modello culturale
• accettare una varietà di modelli, nel senso che ognuno è il migliore per quella cultura, ognuno è l'espressione di un popolo, arrivando a quello che Freddi ha definito "relativismo culturale" (Freddi G., Didattica delle Lingue Moderne, Minerva Italica, 1985). Secondo questo principio, non esiste una cultura migliore di un'altra, ma ognuna rappresenta in modo completo un popolo.

Questo permetterà di arrivare all'acquisizione delle abilità di comunicazione interculturale passando attraverso tre fasi (cfr. Balboni, 1999).
1. consapevolezza (l'essere coscienti che gli altri hanno un diverso software mentale)
2. conoscenza (bisogna conoscere le altre culture per poter interagire)
3. abilità (date dalla consapevolezza assieme alla conoscenza e all'esperienza personale).
2. L'interculturalità nell'insegnamento dell'italiano

Come evidenziato nella prima parte di questo intervento, l'esistenza di un insieme di valori culturali rende l'apprendimento di una lingua straniera non un puro esercizio comunicativo, ma qualcosa che va ad incidere sull'intera personalità dell'individuo e sulla sua stessa natura. L'entrare in contatto con persone portatrici di valori culturali diversi dai propri può mettere in crisi la persona e portarla ad una chiusura mentale che irretisce anche l'apprendimento linguistico.
Al contrario, bisogna cercare di favorire uno sviluppo armonioso delle competenze del learner, in modo tale da ampliare la sua capacità di relazionare con l'altro.

2.1. Dalla teoria alla pratica: evitare gli stereotipi e abbordare i sociotipi

Alla radice di questi problemi troviamo fondamentalmente una diversa maniera di concepire i valori dell'esistenza (spazio, tempo, relazioni umane, divinità…) che si articola in un sistema concettuale vasto e complesso.
Non si può quindi evitare il problema riconoscendo le diversità ma limitandosi ad una presa d'atto. Bisogna cercare di capire le motivazioni che portano una certa cultura ad esprimersi in un modo piuttosto che in un altro, studiando il suo vissuto e le sue radici. Ciò non deve portare ad assimilare aprioristicamente tutte le manifestazioni della realtà straniera, bensì a riflettere, confrontare e comprendere.
Dagli stereotipi bisogna dunque passare ai sociotipi, cioè delle analisi che mettano in evidenza i tratti salienti di una cultura, cercando ovviamente l'omogeneizzazione ma evitando l'appiattimento delle varietà.

2.2. Un esempio: difficoltà interculturali fra stranieri e italiani

I problemi interculturali fra Italiani e stranieri sorgono quando questi sono posti in contatto fra di loro da necessità "economiche" ben precise: lavorare, fare acquisti, concludere trattative… Il turista difficilmente si renderà conto del gap culturale che lo separa dalla gente fra la quale si trova a trascorrere un periodo di vacanza, in quanto i suoi bisogni primari vengono soddisfatti in modo quasi "automatico". Laddove invece entrano in gioco valori più profondi, come ad esempio la concezione del tempo e dell'onore in un rapporto lavorativo, una scarsa coscienza culturale può portare ad incidenti anche fatali.
Vediamo quindi quali sono i maggiori problemi che possono incontrare gli stranieri che entrano in contatto con gli Italiani e a cosa siano dovuti.

2.2.1. Il tono della voce

Normalmente gli Italiani adottano un tono della voce notevolmente superiore a quello degli altri popoli; per questo due Italiani che si stanno semplicemente scambiando delle formule di saluto o che stanno conversando del più o del meno vengono spesso scambiati per due litiganti. Nei rapporti internazionali questo fattore, legato al nostro gesticolare vivace e alla nostra presunta aggressività, porta a pensare che si sia in feroce disaccordo con il nostro interlocutore, mentre in realtà si sta solo esponendo il proprio punto di vista.

La vicinanza

Gli Italiani, come in genere i popoli latini, sono abituati a tollerare una distanza minima fra i corpi, e anche il contatto fisico (p.e. mano sulla spalla) è abbastanza frequente. Questo crea problemi agli stranieri abituati invece ad un maggior spazio vitale, come ad esempio i popoli nordici. Quindi, quello che per un Italiano può essere un invito a stringere dei legami più intimi o comunque più amichevoli può essere letto da uno straniero come un'inutile invadenza.
Nei rapporti fra uomo e donna invece, quella che può essere la naturale espansività italiana può venire interpretata, specialmente dai popoli musulmani, come un segnale esplicito di interesse verso l'altra persona. Ciò porta quindi a fraintendimenti e a spiacevoli "spiegazioni", che vengono vissuti dall'altro come delle sconfitte e possono comportare un arroccamento sulle proprie posizioni.

La gestualità

Caratteristica prettamente "latina" è la forte gestualità, che accompagna, sottolinea, mima gran parte del discorso italiano. Questi gesti, del tutto spontanei per noi, sono spesso incomprensibile per gli stranieri, o possono dar luogo a fraintendimenti con gesti simili delle altre culture. Purtroppo questa gestualità è anche difficile da esplicitare a parole e solo frequenti contatti con la nostra civiltà possono portare ad una comprensione non ambigua degli stessi.

La puntualità

In ambito internazionale l'Italiano gode fama di persona poco puntuale o che comunque non è molto affidabile da questo punto di vista. In realtà, gli Italiani tollerano un ritardo che rimane nell'arco del quarto d'ora; anzi, in questo spazio di tempo non è nemmeno considerato ritardo.
Altri popoli valutano invece la puntualità in modo completamente diverso. I popoli nordici sono molto più ligi nel rispettare gli appuntamenti dati, e considerano prova di scarsa serietà anche qualche minuto di ritardo; gli slavi, e specialmente i Russi, tollerano (ed applicano) ritardi anche di mezz'ora o tre quarti d'ora. Questo dipende anche dal fatto che nelle grandi città (come Mosca appunto) l'arrivo in orario non è legato tanto alla volontà personale, quanto alle condizioni del traffico e all'affollamento dei mezzi pubblici. Inoltre, l'attesa è considerato un elemento necessario di qualsiasi trattativa economica; qualche ora di anticamera è da mettere sempre in preventivo.

La flessibilità

Per noi Italiani il fatto che una riunione abbia un ordine del giorno è un elemento utile ma non indispensabile: anche se poi si passerà la maggior parte del tempo a discutere di tutt'altro, ugualmente si lascerà la seduta convinti di aver impegnato utilmente la propria giornata, risolvendo problemi che comunque andavano affrontati, anche se non erano indicati nella scaletta. Al contrario, persone provenienti da tutt'altro retroterra culturale possono trovare un procedimento del genere enormemente irritante e provocatorio, in quanto comporta una perdita di tempo e una mancanza di rispetto verso le persone che hanno stilato l'elenco degli argomenti da trattare.
Inoltre, il nostro "escamotage" per coprire queste massicce digressioni (vale a dire il punto "varie ed eventuali") non è molto apprezzato all'estero, o meglio, non è compreso; viene letto dagli stranieri come l'ennesima riprova della nostra mancanza di serietà nell'affrontare problemi e trattative, lasciando ampio spazio all'improvvisazione.

I dialetti e le flessioni dialettali

Gli Italiani, anche se ovviamente raramente se ne accorgono, danno alla loro parlata coloriture e accenti locali, che possiamo, a grandi linee, dividere in settentrionali, centrali e meridionali. Gli stranieri che studiano l'italiano (specialmente ai primi livelli) sono abituati ad una flessione più di tipo centro-settentrionale e sono quindi messi in crisi da pronunce o parole che si discostano notevolmente da quanto da loro appreso in patria. Questo problema, ovviamente, si presenta un po' per tutte le lingue, ma in Italia rasenta la vera e propria incomprensione, specialmente quando si raggiungono alti livelli di elocuzione.

Argomenti taboo

Ci sono degli argomenti che sono taboo quasi in tutte le culture (sesso, morte, funzioni corporali…), quello che differisce è il loro livello di "impraticabilità". In Italia non sono minimamente tollerati, in ambiente formale, i discorsi che riguardano il denaro, lo stipendio, le entrate di vario tipo e men che meno quelli che toccano l'argomento "tasse". Altri Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti, considerano del tutto normale parlare a tavola del proprio reddito, facendone anzi elemento di vanto.
Altro elemento che tendenzialmente si minimizza è la posizione gerarchica o comunque i rapporti di potere all'interno di un gruppo di lavoro. Questo può spiazzare ad esempio un Giapponese, abituato invece ad un preciso ordine gerarchico a cui fare riferimento per stabilire i suoi legami lavorativi e sociali.
In Italia invece l'argomento sesso è affrontato quasi subito (specialmente negli ambienti a netta prevalenza maschile) in maniera abbastanza esplicita e diretta, soprattutto da un punto di vista scherzoso. Questa nostra "facilità" può essere interpretata da uno straniero come un pensiero fisso del popolo italiano, o comunque una faccenda prioritaria nell'impostare qualunque relazione, creando così problemi di comunicazione, specialmente quando nel gruppo si introduce una donna. Inoltre bisogna tener presente che molti dei nostri giochi di parole a questo proposito (come ad esempio tutte le frasi con complemento oggetto maschile singolare esplicitato da un pronome) sono difficilmente comprensibili da uno straniero, che quindi può interpretare le nostre risate come un motteggio nei suoi confronti.

Lo status

Gli elementi che individuano lo status di una persona cambiano da Paese a Paese e sono uno dei segnali più difficili da interpretare per chi proviene dall'estero. Oltretutto la loro evoluzione, specialmente negli ultimi tempi, è talmente rapida, da mettere spesso in crisi anche gli stessi indigeni. Ad esempio, fino a poco tempo fa lo squillo del cellulare contraddistingueva le persone che occupano una posizione di rilievo o che comunque hanno un incarico di responsabilità. Ora invece, vista la diffusione di massa dell'oggetto, le persone veramente "up" spengono il telefonino nei luoghi pubblici, o comunque laddove potrebbe disturbare gli altri, lasciando che a farlo suonare siano i meno "evoluti" da un punto di vista sociale.
Altro elemento indicatore dello status di una donna rimane comunque la pelliccia, anche se le battaglie ecologiche e animaliste degli ultimi tempi hanno portato ad un'interpretazione "politica" anche di questo capo d'abbigliamento.
Nell'ambiente giovanile, le marche del vestiario rimangono in ogni caso i segnali più precisi dello status rappresentato, anche se si assiste ad una sempre più evidente omogeneizzazione.
Infine, per un Italiano, il segnale più visibile del suo status rimane comunque la macchina, o meglio, le macchine. Il possederne una, o più di una, di grossa cilindrata indica lo stato di benessere goduto dalla famiglia in questione, non solo per il prezzo dell'autovettura, ma soprattutto per le spese connesse con il suo mantenimento (bollo, assicurazione, carburante,…).
La frequentazione di certi luoghi piuttosto che di altri (bar, ristoranti, palestre, discoteche, scuole…) indica particolari appartenenze sociali e elitarie, ma si tratta di vere e proprie "mappe" difficilmente decifrabili da uno straniero, se non dopo un lungo periodo di permanenza nello stesso posto, frequentando persone di varia estrazione.

Il tempo (policronico e monocronico)

Un Italiano "in gamba" è quello che riesce ad occupare il suo tempo con le più diverse attività, sia nell'ambito lavorativo che in quello sociale-ricreativo. Il fatto di non riuscire ad occuparsi di più di una cosa alla volta è indice di scarsa elasticità mentale e flessibilità, dote fondamentale per un Italiano, che si trova spesso a doversi confrontare con repentini cambiamenti politici, economici e anche climatici. Questa gestione del tempo è detta "policronica" e non sempre è compresa ed apprezzata da uno straniero.
Specialmente i popoli germanici vedono in questa nostra organizzazione un caos totale, che non può portare a niente di buono: una scansione regolare degli impegni, oltre che una rigida divisione degli stessi fra persone con competenze diverse è la loro maniera di gestire lavoro e vita in generale e si capisce quindi come questo comporti inevitabilmente dei conflitti con lo standard italiano.

Lo spazio (gestione degli spazi)

L'Italiano (in maniera contraria a quanto fatto con il tempo) è portato a suddividere gli spazi in maniera molto rigorosa. Questa è una tendenza più moderna che altro, in quanto, fino a non molto tempo fa (secondo anteguerra), la popolazione era ancora prevalentemente distribuita in piccoli centri rurali, dove le terre erano lavorate spesso in comune e dove i confini erano tramandati solo oralmente. Gli stessi attrezzi di lavoro erano utilizzati da più famiglie a rotazione. La relativamente recente "inurbazione" e quindi la necessità di vivere molto più a stretto contatto con il prossimo ha portato a una chiusura personale e a una netta divisione delle zone di competenza.
L'Italiano è molto socievole e aperto quando è lui a scegliere con chi esserlo, mentre reagisce in modo diametralmente opposto quando è obbligato ad entrare in contatto con il prossimo e a condividere questa intimità forzata.
Anche nell'ambiente di lavoro il fatto di avere un ufficio per conto proprio indica un avanzamento in grado e quindi è molto ambito. L'Italiano tende poi a personalizzare questo spazio, con quadri, oggetti, foto …. In casa ognuno ricava il proprio ambiente; i bambini più fortunati sono quelli che possono contare su una propria cameretta e ad una certa età è quasi obbligatorio avere la propria stanza per farne quello che si vuole.
Questo fenomeno ha conseguenze però anche negative, perché lo spazio pubblico viene considerato spazio di nessuno, e quindi un terreno in cui tutto è lecito. Questo non è minimamente compreso da Svizzeri, Austriaci o Tedeschi, che considerano invece lo spazio pubblico come qualcosa "di tutti", da rispettare quindi ancor di più dello spazio proprio.

Espressività del volto

L'Italiano spesso esprime le proprie impressioni e sensazioni più con il viso che con le parole, attraverso una mimica facciale molto articolata. Frequentemente, infatti, facendo il resoconto del dialogo avuto con una persona ci troviamo a dire: "E poi ha fatto una faccia, come a dire…". Per noi è quindi del tutto usuale lasciar trasparire in questo modo il nostro pensiero, convinti che ciò sia indice di sincerità. Non funziona sempre così presso gli altri popoli, come ad esempio i Giapponesi, la cui rigida maschera facciale è una vera e propria necessità sociale. Difficile per loro quindi non solo interpretare i nostri segnali ma anche capirne la necessità, visto che esistono le parole per comunicare meglio e in maniera meno suscettibile di fraintendimenti la stessa cosa.

Struttura del testo (divagazione italiana)

Il discorso italiano è sempre costellato da distinguo, precisazioni, digressioni, parentesi, ecc.… A noi sembra quanto meno poco "scenografico" cominciare subito con il nocciolo del discorso: e dopo cosa diciamo? Inoltre, ci pare che senza un adeguato corredo di esempi il nostro interlocutore non debba capire quale è il nostro vero intento. L'Italiano dà molta importanza alle sfumature e pretende che esse siano tutte colte e apprezzate dall'altro.
Totalmente diversa è invece la maniera di organizzare il discorso (sia orale che scritto) presso altri popoli. I Francesi infatti procedono per ragionamenti logici molto serrati, gli Anglosassoni amano esporre innanzitutto il "subject", ricorrendo poi a precisazioni solo se si rende necessario. Ciò può creare problemi nella conversazione o nei rapporti di lavoro: l'esposizione italiana può sembrare fumosa e inconcludente, mentre a noi quella straniera può sembrare stringata e troppo poco dettagliata.

Interrompere

Per un Italiano è normale, durante una conversazione, un dibattito, una tavola rotonda, interrompere la persona che sta parlando, magari anche solo per confermare il proprio accordo con quanto va affermando. Anzi, spesso chi parla cerca approvazione nell'interlocutore per continuare il proprio discorso, magari anche con un semplice "mhmh" oppure "è vero", "certo".
Tuttavia, oltre a noi, solo gli Spagnoli tollerano questo genere di intromissione. Per tutti gli altri popoli si tratta di una mancanza di rispetto e di un'invasione dello spazio altrui, quindi si bloccano e continuano con difficoltà il loro discorso. Un Italiano a volte può interpretare un intercalare (come ad esempio, "isn't it" degli Inglesi) come una richiesta di conferma, e quindi rispondere ( "Yes, it is!") mentre invece l'altro non si aspettava assolutamente alcun cenno, e interrompe la sua battuta. Si crea quindi un meccanismo di conflitto culturale di cui le persone non sono assolutamente consce e che imputano ad una mancanza di educazione dell'altro.

Il silenzio (gli Italiani non lo tollerano)

L'Italiano deve sempre parlare, magari anche solo del più e del meno, ma deve sempre riempire il silenzio, difficilmente lo tollera al di fuori dei casi in cui è strettamente necessario (lavoro, studio, cinema,…). Ad esempio, durante un pasto in compagnia, è obbligatorio intavolare una conversazione più o meno allegra con i propri commensali, evitando di parlare di lavoro e cercando così di stringere dei rapporti più intimi.
Al contrario, altri popoli reputano che la condizione di "anormalità" sia il parlare, e che quindi una volta cessata la causa per la quale si era resa obbligatorio la conversazione, ci si dedica altro, o semplicemente si continua a fare in silenzio ciò che si era iniziato. Un Russo converserà con voi amabilmente se siete seduti davanti a un bel bicchiere di tè e fuori scende la neve, ma sicuramente non si dilungherà in convenevoli se state facendo la coda per il latte: un attimo di distrazione può comportare la perdita della posizione acquisita.

Il cibo e l'alcol

Per un Italiano il momento conviviale di maggior prestigio è il pasto, in quanto il cibo è fonte di piacere. La tradizionale buona cucina italiana, apprezzata in tutto il mondo, è qualcosa di cui un Italiano va fiero, specialmente perché si accompagna ad un'atmosfera festosa e amichevole. A differenza di altre culture, in cui il piacere maggiore è dato dal consumo di alcool che accompagna il pasto conviviale (vedi i popoli Nordici o Statunitensi, ad esempio), l'Italiano ritiene che sia il cibo l'elemento prioritario, e quando ha ospiti stranieri, ci tiene a far loro apprezzare le specialità del luogo.
Il forte significato attribuito al cibo e di conseguenza al pasto porta l'Italiano a scandire la sua giornata in base ai pasti da consumare e ai relativi "tempi" considerati ottimali per il loro consumo. Solo più di recente, la distribuzione del lavoro in turni nelle fabbriche ha portato a rompere questa scansione rituale del tempo.
Questa organizzazione della giornata può creare conflitto con altri popoli, abituati magari a consumare un'abbondante colazione, ma a saltare o quasi il pranzo, oppure che non dedicano sufficiente attenzione alla qualità del cibo che consumano (come ad esempio i Giapponesi).

La famiglia

L'Italiano viene spesso considerato dagli altri popoli un "mammone" perché rimane legato alla sua famiglia d'origine per tutta la vita in maniera anche abbastanza consistente. L'età media dell'abbandono del nido da parte dei giovani corrisponde grossomodo con quella del matrimonio; solo per motivi di lavoro, di studio o per conflitti interni, un ragazzo sceglie di andare a vivere per conto proprio prima.
Questa realtà non è invece condivisa da altre culture, come ad esempio quella tedesca, dove l'indipendenza e l'autonomia della prole sono stimolate dai genitori stessi. L'Italiano viene visto come una persona poco sicura, che matura lentamente e che ha sempre bisogno della convalida di almeno altre due persone per decidere cosa fare.

2.3. Come affrontare il problema

La situazione analizzata in precedenza è abbastanza complessa e variegata e ci fa capire come atteggiamenti e valori per noi del tutto "normali" non sono considerati alla stessa stregua dagli altri popoli.
Si rende quindi necessario uno studio approfondito delle realtà "altre" rispetto alla nostra, prendendo in considerazione non solo le diversità linguistiche ma anche quelle culturali, religiose, economiche, spirituali, ecc. e riflettendo sul fatto che parlare un'altra lingua non significa tradurre il significato di un discorso, ma arrivare veramente a pensare secondo i parametri di un'altra cultura.
Questo però non deve portare ad un'omogeneizzazione della cultura o, peggio, all'assunzione acritica dei valori di un altro popolo: ci sono degli elementi che vanno al di là della semplice tolleranza e che mettono in gioco il nostro credo religioso e la nostra morale e che quindi non possono essere accettati se non rinnegando le nostre origini. Le nostre origini invece vanno tutelate e difese, in quanto sono un patrimonio unico e irripetibile tramandatoci direttamente dai nostri avi e che fanno di noi quello che siamo.
In realtà, quello che vogliamo promuovere, è una maggiore sensibilizzazione ai problemi legati ai rapporti interculturali e una formazione alla tolleranza delle diversità; creare un clima di dialogo e di apertura, che porti al confronto e all'arricchimento reciproco. Solo in questo senso può essere intesa una reale globalizzazione della cultura: non una perdita di valori, ma un'acquisizione di strumenti e mezzi per osservare la realtà in maniera produttiva. Non da spettatori ma da attori di questo vasto scenario mondiale in continua evoluzione.
Scopo dell'educazione linguistica deve quindi essere anche quello di dotare l'allievo delle conoscenze adeguate ad un'analisi approfondita del tessuto sociale in cui si troverà ad operare. Quindi schemi d'interpretazione, parametri, strutture concettuali per affrontare l'altro e il diverso in maniera critica e costruttiva. I benefici di un tale approccio riguardano non solo la competenza linguistica, ma ricadono sull'intera personalità.

 

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